1915 Fronte Isontino - La Guerra all'orizzonte

QUINTO DI TREVISO  - 1915 / 1918
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1915 - IL FRONTE ISONTINO E LE PRIME QUATTRO BATTAGLIE DELL' ISONZO

Le truppe italiane, schierate sul fronte isontino, comprendevano due armate: la 2ª Armata (generale Frugoni) schierata da M. Maggiore a Prepotto (sul fiume Judrio) e la 3ª Armata (generale Emanuele Filiberto Duca d'Aosta) schierata da Prepotto fino al mare. Alle truppe italiane si contrapponevano le forze austriache al comando del generale Boroevic che, pur se inferiori di uomini e mezzi, potevano contare su posizioni estremamente vantaggiose, dal momento che permetteva loro di sfruttare le difese naturali offerte dalle zone montuose.


Poche truppe erano sufficienti  per difendere lunghi settori della frontiera.
Il 24 maggio, in base ai piani di Cadorna, le nostre truppe irruppero lungo tutto il confine. Sul fronte isontino conquistarono Caporetto, la zona tra l'Isonzo e il fiume Judrio. Occuparono Cormons, Cervignano del Friuli e Grado. Nei primi giorni di giugno, conquistarono Gradisca e Plava, ormai oltre l'Isonzo. Furono poi raggiunti e conquistati Monfalcone e parte del Monte Nero. Dopo la metà di giugno anche Tolmino e le alture attorno a Plezzo erano sotto il controllo dei nostri fanti.
Prima Battagliadal 23 giugnoal 7 luglio
Seconda Battagliadal 18 luglioal 3 agosto
Terza Battagliadal 18 ottobreal 4 novembre
Quarta Battagliadal 10 novembreal 5 dicembre
PRIMA BATTAGLIA: 23 GIUGNO - 7 LUGLIO

Il 23 di giugno inizia la prima di una drammatica e lunga serie di battaglie che insanguinarono il fronte isontino. Le nostre truppe furono maggiormente impegnate contro l’ostico campo trincerato di Tolmino, contro quello di Gorizia e l’attacco a Plava e alla linea che andava dal Monte Sabotino passando per Oslavia fino al Podgora. Infine furono lanciate azioni congiunte di attacco sul Carso.
In questo fronte, il nostro esercito, passò il fiume Isonzo oltrepassando l’esistente frontiera stabilita con il trattato del 1866. Conquistarono Plava, alcune alture nei pressi di Monfalcone e il Monte Nero nella zona dell’Alto Isonzo.
La prima, sanguinosa, Battaglia cessò il 7 di luglio e portò solamente numerose perdite da entrambe le parti senza che nessuno dei due eserciti ottenesse guadagni rilevanti.
Le perdite italiane ammontarono a circa 2 mila morti e 13 mila feriti. Gli austro ungarici persero un migliaio di uomini e 11 mila feriti.
Gli scontri, che non portarono a nulla di definitivo, sfociarono infine, nella seconda battaglia dell'Isonzo, cominciata pochi giorni dopo.


SECONDA BATTAGLIA: 18 LUGLIO - 3 AGOSTO

Dopo la conclusione della prima battaglia dell'Isonzo gli alleati dell'Intesa, valutata la situazione di stallo in tutti i fronti europei, chiesero all'esercito italiano uno sforzo maggiore in modo da impegnare le forze austro-ungariche evitandone il dispiegamento su altri fronti.
Dopo i preparativi tattici e di spostamento di truppe il 17 luglio l'artiglieria italiana iniziò a bombardare le linee austro-ungariche lungo un fronte di una quarantina di chilometri sulla linea dell'Isonzo.
Il 18 luglio, iniziò la Battaglia.
A sud di Gorizia, sulla linea di fronte che correva fino a Doberdò, l'obiettivo era la conquista dell'altura di Monte San Michele che fu espugnato con perdite enormi. Il violento contrattacco austro-ungarico, però, vanificò il sacrificio di tanti soldati e il colle fu riconquistato dagli austriaci già il giorno dopo. Per tutta la durata della Battaglia gli scontri proseguirono nell'intento, da parte italiana, di sfondare le difese nemiche di Bosco Cappuccio, vera chiave di volta per la conquista del paese di San Martino del Carso. Protagonisti di questi assalti furono i fanti della Brigata Sassari che con i due Reggimenti, il 151° e il 152°, scrissero pagine di eroico sacrificio. Scendendo lungo la linea del fronte, che contrapponeva i due eserciti, l'aspro teatro degli scontri coinvolse le tristemente celebri quote del Monte sei Busi e delle vicine alture (Polazzo) dove si combatterono sanguinose battaglie e dove anche i Bersaglieri del 15° Reggimento pagarono un tributo altissimo di vite umane. Tra loro c'era anche il nostro Mosè Lucchetta di diciannove anni che, nell'infuriare della battaglia, venne dato per disperso e non fu mai più ritrovato.

Ancora più a sud, sopra Monfalcone, l'esercito italiano subì gravissime perdite tentando l'assalto al Monte Cosich che era protetto dalle postazioni austriache ben armate e avvantaggiate sugli attaccanti.
Anche a nord di Gorizia dove gli italiani tentarono gli assalti al Monte Sabotino, al Monte Calvario e ad alcune quote di Plava, la difesa austroungarica provocò il fallimento dei ripetuti assalti.
A nord, sull'Alto Isonzo, il clima rese le azioni degli italiani ancora più difficili vanificando gli sforzi e il tributo in termini di vite perdute. Il Monte Nero e il Monte Mrzli non furono conquistati. Le truppe austro-ungariche, asserragliate nelle forti posizioni in quota, respinsero l'attacco e anche i successivi tentativi fatti dopo il termine della seconda Battaglia e fino al 14 di agosto.

La Seconda Battaglia, soprattutto nella zona del San Michele costituì un vero bagno di sangue per le nostre truppe. Costò la perdita di quasi 42 mila uomini di cui 6 mila morti, 5 mila dispersi e 31 mila feriti. Questo drammatico prezzo fu il frutto dello scontro di vecchie strategie militari che dovettero confrontarsi con le nuove tattiche di difesa: le trincee, il filo spinato, le nuove armi che erano comparse da poco nello scenario bellico.
Le perdite spaventose causate da ripetuti, ostinati e quasi sempre inutili attacchi, le condizioni di vita dei soldati dilaniati dal fuoco nemico, dalle malattie, dal rancio inadeguato, dalla quasi mancanza di acqua potabile, da notti trascorse vegliando in angoscia sotto piogge frequenti, avevano reso la vita al fronte durissima e ben oltre l'umana sopportazione.
E sicuramente non andava meglio agli austro-ungarici. Gli scontri di questa seconda battaglia dell'Isonzo causarono la perdita di circa 47 mila uomini tra morti, quasi 8 mila, dispersi, 13 mila, e feriti circa 26 mila. Il nostro esercito subì la superiorità delle posizioni e degli armamenti degli austro-ungarici che, di contro, non seppero sfruttare la morfologia carsica per ripararsi dai bombardamenti italiani. Anche le loro trincee e i loro camminamenti non risultarono sempre adeguati nelle strutture e nella disposizione.

Il drammatico conteggio delle vittime e i pochi risultati ottenuti nell'avanzamento del fronte ci restituiscono l'esito di una sanguinosa battaglia che non indicò con chiarezza nè un vinto nè un vincitore, ma che aveva scoperto, infine, il volto terribile di questo conflitto.


TERZA BATTAGLIA: 18 OTTOBRE - 4 NOVEMBRE

Dopo due mesi e mezzo di relativa tregua spesa per ricompattare lo schieramento militare e colmare i vuoti lasciati dalle perdite dovute agli assalti delle due precedenti battaglie, il Comando Supremo Militare Italiano, dopo un violentissimo fuoco preparatorio da parte dell'artiglieria, rinforzata a più di mille cannoni, scatenò, il 18 ottobre la terza battaglia dell'Isonzo.

Gli obiettivi riguardavano la conquista di Gorizia aggirando le difese austriache. Per questo obiettivo era necessaria la conquista del Podgora e del Monte San Michele. Infine, con movimento frontale, si doveva ottenere, sempre vicino a Gorizia, il territorio circostante la confluenza del Vipacco nell'Isonzo.

I reggimenti italiani attaccarono il nemico nella zona del Podgora ma i decisi contrattacchi austriaci e l'inclemenza del clima, impedirono ai nostri soldati il raggiungimento degli obiettivi.  
La fanteria italiana tentò di conquistare il Monte Sabotino ma ogni sforzo fu vano. Anche le ben difese trincee austriache del Monte San Michele furono prese e perdute tra sanguinosi attacchi e contrattacchi.
Qualche progresso fu ottenuto presso Oslavia ma furono risultati effimeri e annullati dal successivo contrattacco degli austro-ungarici che riconquistarono il paese il giorno seguente.
Si combatté, con qualche successo sul Monte Sei Busi e verso Monfalcone.
A nord, sopra la conca di Plezzo, il 6° e il 9° Reggimento Bersaglieri, come da ordini ricevuti, impegnarono le truppe austriache costringendole all'immobilità in modo che queste non potessero essere di rincalzo in altri settori dove più forte era la pressione delle nostre truppe impegnate negli obiettivi della Battaglia.
Nei pressi di Monte Javorcek si ebbero gli scontri più aspri di questo settore e, il 21 di ottobre, assieme a tanti altri soldati, il nostro Giovanni Franzin trovò la morte.
Nella zona di Plava, con il massiccio impiego dell'artiglieria, gli italiani avanzarono raggiungendo la parte meridionale dell'altopiano della Bainsizza così da poter proseguire l'avanzata che avrebbe dovuto aggirare le forze nemiche asserragliate nella difesa di Gorizia. Gli austriaci, però, come d'altro canto sperato dagli altri paesi dell'Intesa, fecero sopraggiungere truppe fresche spostate dal fronte balcanico e da quello orientale dando respiro ai russi ma investendo i nostri fanti con forza e a prezzo di un altissimo costo di vite umane da entrambe le parti.
Anche il Monte Sei Busi fu teatro di spaventosi assalti all'arma bianca con conseguenti ingentissime perdite.

Il generale Cadorna, quando ebbe chiara la situazione dell'immobilità del fronte e delle perdite subite dalle nostre truppe, contro un nemico che si manteneva sulla difensiva e con il vantaggio delle postazioni più elevate, decise, la sera del 4 di novembre, di sospendere le operazioni.

Sul Carso era autunno inoltrato, pioveva e la bora aveva già fatto la sua comparsa. Il terreno di battaglia si era trasformato in un pantano senza riparo dove i soldati faticavano a manovrare e, come ulteriore nuova durissima prova, erano comparsi i primi focolai di malattie infettive provocate dalla disumana vita in trincea e le vittime erano sempre più numerose. Tra queste malattie l'enterite specifica fu responsabile di numerosi decessi negli ospedali e ospedaletti militari dove affluivano i feriti e gli ammalati provenienti dalla prima linea. Tra loro due nostri soldati, Geremia Sutto e Giuseppe Gasparin, entrambi del 55° Reggimento di fanteria e impegnati nei combattimenti del Vallone di Dol dietro la vetta inespugnata del Monte Sabotino, non sopravvissero alla malattia.

La terza battaglia dell'Isonzo causò, come per le precedenti, perdite terribili alle truppe italiane a fronte di pochi esigui risultati.
Il nostro esercito dovette contare la perdita di 67 mila uomini, di cui quasi 11 mila morti, 12 mila dispersi e 44 mila feriti.
Le perdite austro-ungariche ammontarono a circa 42 mila uomini, di cui poco più di 8 mila morti, 7 mila dispersi e 27 mila feriti.


QUARTA BATTAGLIA: 10 NOVEMBRE - 5 DICEMBRE


Il 10 novembre l'Alto Comando Militare Italiano decise di dare inizio ad una nuova e più incisiva offensiva sulla direttrice per Gorizia e sul Carso dove si sarebbero concentrati gli sforzi maggiori.  La "spallata", tuttavia, fu distribuita lungo tutta la linea del fiume Isonzo; il Comando italiano, infatti, intendeva conquistare il Podgora, Oslavia, il Monte Sei Busi e il Monte San Michele. Dopo un intenso fuoco preparatorio di artiglieria iniziò la Quarta Battaglia dell'Isonzo.

Alcune divisioni Italiane attuarono un’azione di disturbo sul Sabotino per mascherare l’attacco principale sulla dorsale S. Floriano-quota 188-Oslavia. Quota 188 fu conquistata, mentre la resistenza delle truppe austro-ungariche rese vani i tentativi di impadronirsi di Oslavia.

Anche le azioni effettuate più a sud non sortirono esiti vantaggiosi, sia a causa delle proibitive condizioni climatiche che resero il terreno fangoso e viscido, sia per un'epidemia di gastroenterite simile al colera che si stava diffondendo da alcune settimane, riducendo gli organici dei battaglioni.

Il Comando Supremo italiano dava molta importanza alla conquista dei trinceramenti austriaci delle "Frasche" e dei "Razzi", che costituivano il fulcro del sistema difensivo austriaco che andava dal Monte San Michele al Monte Sei Busi. La conquista di queste trincee poteva garantire una posizione dominante sulla conca di Doberdò.

L'attacco ai trinceramenti delle "Frasche" iniziò il 10 novembre. Le condizioni climatiche e i continui bombardamenti difensivi delle artiglierie austriache fiaccarono lo slancio dei soldati italiani e gli eroici assalti si infransero con gravi perdite sui reticolati nemici e sul terreno spazzato dal fuoco delle mitragliatrici.

Solo nel pomeriggio del 13 novembre, dopo aver creato dei varchi nel filo spinato, il 151º Reggimento e parte del 152°, lanciarono un decisivo assalto alla baionetta, conquistando i trinceramenti austriaci e a mantenerli nonostante i ripetuti contrattacchi. Alle prime luci dell'alba del giorno dopo, l'altro reggimento della Brigata Sassari, con un nuovo durissimo assalto alla baionetta espugnò anche la trincea dei "Razzi".

Dopo una pausa temporanea ripresero i bombardamenti e gli assalti ad opera delle fanterie. Gli italiani riuscirono a mantenere la contesa quota 188 di Oslavia mentre gli attacchi sulla dorsale tra Oslavia e Monte Peuma portarono scarsi risultati. Qualche posizione fu conquistata attorno alle macerie del paese di San Martino del Carso ma nella zona verso il saliente del Dente del Groviglio la Brigata Pisa con il suo 30° Reggimento, cui facevano parte due nostri soldati, non raggiunse i risultati sperati e le perdite furono ingenti.

Ancora una volta il Comando Italiano dovette constatare i minimi risultati ottenuti a fronte di pesantissime perdite umane. Il 2 dicembre si decise di terminare la battaglia.

La Quarta Battaglia dell’Isonzo costò al nostro Esercito la perdita di quasi 50 mila uomini, di cui 8 mila morti, altrettanti dispersi e 34 mila feriti.

Le perdite austro-ungariche ammontarono a circa 25 mila uomini, di cui 4 mila morti, 5 mila dispersi e 16 mila feriti.

Al termine di questa battaglia il generale Luigi Cadorna affermò:
«La presente guerra non può finire che per esaurimento di uomini e di mezzi e l'Austria è molto più vicina di noi ad arrivarci. È spaventoso, ma è così».
Cadorna aveva ragione, infatti l'Alto Comando austro-ungarico, preoccupato per le gravissime perdite, fu costretto a chiedere l'aiuto dell'Impero tedesco, che però, non essendo ancora dichiaratamente in guerra con l'Italia non poté intervenire sul fronte isontino se non all'inizio dell'Undicesima Battaglia dell'Isonzo.


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