È un tardo pomeriggio autunnale ed il suo ultimo debole tepore cede malvolentieri la scena alla bruma dell'imminente serata. Il negozio scintillante di luci ti accoglie sottraendoti al frastuono della statale.
Si acquista e si chiacchiera con cortesia. Si parla del più e del meno e ci s'intrappola, scivolando senza reale volontà, in considerazioni sull'opportunità d'alcune scelte della pubblica amministrazione.
Non hai davvero la voglia, e forse nemmeno il tempo, per farti coinvolgere ma, d'improvviso, odi la frase che ti coglie come una frustata.
"Tutti lavori inutili… era meglio se pensavano a trovare dei nuovi parcheggi. Per esempio… tutto quello spazio davanti al municipio. Si, insomma, dove ci sono quelle due madonne che non si sa a cosa servono…"
E lì perdi la calma.
Fatichi a trattenerti dall'aggredire, con parole di fuoco, l'interlocutore che forse davvero ignora il significato di quelle "due madonne" e ti trasformi in giudice che non ammette ignoranza.
Esci innervosito e quasi indignato.
Quasi per riparare getti uno sguardo verso le "due madonne", verso quella madre e quella sposa che, ormai da cento anni, piangono lacrime di pietra su quella fiamma che rappresenta il ricordo dei figli e dei mariti perduti in quel conflitto che giunse violento e fragoroso all'orizzonte.
Da quest'ultima riflessione è scaturito l'ambizioso progetto di recuperare e di salvaguardare il ricordo di quei tragici giorni.
Storie individuali che si sono fuse indissolubilmente nel crogiuolo della storia assieme alla grande memoria ufficiale ma che riusciamo ancora a distinguerle e a comprenderle leggendole con la consapevolezza di chi sa di possedere radici comuni a quanti, spettatori od attori, sono stati chiamati all'orrendo teatro della guerra.