1917 - IL FRONTE ISONTINO: DECIMA, UNDICESIMA E DODICESIMA BATTAGLIA DELL' ISONZO
Nel 1917 il fronte isontino risultò essere, ancora una volta, il teatro di guerra che reclamò il più alto numero di vittime per entrambi gli eserciti. I ripetuti assalti più o meno inseriti nella Decima e Undicesima Battaglia dell'Isonzo portarono le truppe italiane vicinissime alla soluzione definitiva. L'esercito dell'impero austro ungarico era prossimo al collasso. Di questo ne furono consci anche i tedeschi che temettero la sconfitta dell'alleato e, anche approfittando della Rivoluzione d'Ottobre che consentì loro di spostare numerose divisioni e armamenti dal fronte russo a quello italiano, decisero di intervenire a fianco degli austriaci.
Sul finire di ottobre alcune concomitanze sommate ad errori tattici e a circostanze sfortunate per il nostro esercito, permisero al rafforzato esercito nemico di sfondare il fronte isontino costringendo le nostre truppe a ripiegare prima verso il Tagliamento e poi sul Piave dove fu possibile ricostruire una linea del fronte in grado di arginare l'imponente e dilagante controffensiva degli eserciti imperiali. Il fronte isontino scomparve dalle carte militari lasciando il territorio e le popolazioni dall'Isonzo a Piave dai monti carnici alla pianura a ridosso di Venezia in mano all'esercito invasore.
Decima Battaglia | dal 12 maggio | al 5 giugno |
Undicesima Battaglia | dal 17 agosto | al 31 agosto |
Dodicesima Battaglia | dal 24 ottobre | al 9 novembre |
DECIMA BATTAGLIA: 12 MAGGIO - 5 GIUGNO
Con la chiamata alle armi delle classi 1897, 1898 e 1899 l’Esercito Italiano divenne numericamente più potente dell’avversario austro ungarico e, anche dal punto di vista degli armamenti, stava rapidamente colmando il divario che aveva contraddistinto i primi due anni di scontri sul fronte dell’Isonzo.
Il 12 maggio 1917 inizia la Decima Battaglia dell’Isonzo. Quasi tre giorni di bombardamenti costituirono la fase preparatoria interrotta solamente da un attacco nei pressi di Gorizia che riuscì a far cedere le linee nemiche a sud della città. Ma i massicci bombardamenti non raggiunsero gli scopi sperati e i successivi assalti della fanteria italiana non riuscirono a sfondare sull’altopiano della Bainsizza e anche le azioni sul Carso, attorno a Monfalcone, non furono in grado di aprire l’auspicato varco verso Trieste.
Le truppe austriache, con le forti posizioni dislocate sull’Hermada, prima rallentarono l’azione italiana per poi bloccarla con un contrattacco sempre partito dalle difese dell’Hermada.
Con un altro contrattacco, questa volta a nord Gorizia, tra Monte Santo e Zagora, le truppe austriache ripassarono l’Isonzo e organizzarono una tenace testa di ponte che, pur se gravemente colpita dai bombardamenti nelle nostre artiglierie, non fu possibile ricacciare sulle posizioni di partenza.
Il rafforzamento delle difese austriache e gli errori tattici e strategici della nostra fanteria che continuavano ad usare gli schemi bellici delle precedenti battaglie, decretarono l’insuccesso della battaglia.
Un prolungamento degli assalti voluto dal Generale Capello interessò l’altopiano della Bainsizza e qualche risultato fu raccolto conquistando le alture del Kuk di Plava e del Vodice ma, diversamente anche da queste ultime aspettative, il fronte non fu sfondato.
Dopo 25 terribili giorni di attacchi e contrattacchi sanguinosi, il 5 giugno terminò anche la Decima Battaglia dell’Isonzo con scarsissimi risultati per il nostro esercito che lasciò sui campi di battaglia un numero spaventoso di morti, dispersi e feriti.
Il totale delle perdite italiane supera i 110 mila uomini con quasi 39 mila tra morti e dispersi. Gli austro ungarici persero quasi 76 mila uomini di cui più di 7 mila morti.
Ma, come sempre, gli scontri sul fronte isontino non furono circoscritti alle grandi battaglie e ogni giorno assalti di assestamento o contrattacchi difensivi mietevano vittime dalle pendici dei monti carnici fin quasi al mare. Nella lunghissima serie di azioni belliche persero la vita, sul campo o per le conseguenze delle ferite, diversi nostri soldati: Antonio Picchetti e Giuseppe Bettiol caduti, in momenti diversi, lungo la linea del fronte Hudi Log - Castagnevizza del Carso; Giuseppe Franco morto per le ferite ricevute negli scontri sulle pendici del San Pietro di Gorizia e Angelo Franchin ferito mortalmente nei pressi di Grazigna; Giuseppe Carraro e Giovanni Cavallin persero la vita, a distanza di due settimane l'uno dall'altro, lungo la linea Vertoiba - Sober; infine, sulle quote del Monte San Marco e sul vicino Dosso del Palo, trovarono la morte Gaetano Coloschi, del 38° Reggimento di fanteria e Giuseppe Zoia del 2°, commilitone di Luigi Fantin che fu catturato lo stesso giorno della morte del suo compagno d'armi. Luigi morì, per malattia, dopo un anno e mezzo di dura prigionia nel campo di Mauthasen, in Austria.
UNDICESIMA BATTAGLIA: 17 AGOSTO - 31 AGOSTO
All'inizio di agosto del 1917 il generale Cadorna e il Comando Militare Italiano iniziarono a pianificare quella che, nei loro piani, avrebbe dovuto essere la più grande offensiva portata sul fronte dell’Isonzo e del Carso e non nascose l’auspicio che potesse essere anche la battaglia definitiva. Con il convincimento che gli austriaci non stavano organizzando attacchi sul fronte trentino, Cadorna decise di spostare dodici divisioni in modo da poter concentrare l’attacco sull’altopiano della Bainsizza.
Dopo due giorni di terribili bombardamenti delle linee austriache ad opera delle nostre artiglierie il 19 agosto iniziò l’attacco delle fanterie. Il Duca d’Aosta, al comando della Terza Armata non ottenne alcun progresso e l’impeto degli attaccanti s’infranse sulla resistenza del fronte a sud dell’altopiano verso l’Hermada. La Seconda armata, invece, condotta dal Generale Capello riuscì a penetrare in profondità sull’altopiano della Bainsizza e dopo durissimi scontri costrinse gli avversari a ripiegare e conquistò la cima della Bainsizza. Pochi giorni dopo, il 24 agosto, sotto l’assalto italiano cadde anche il Monte Santo dando l’impressione che la guerra fosse giunta ad una svolta decisiva. Ma la brusca battuta d’arresto sul San Gabriele, dove la formidabile difesa austriaca causò la perdita di moltissimi soldati italiani, e l’inespugnabilità, a sud, del Monte Hermada, costrinse il Comando Militare a sospendere gli attacchi. La Battaglia, terminata il 31 di agosto continuò, tuttavia, trasformandosi in una lunga serie di duri scontri di logoramento e di assestamento che durarorno fino al 12 settembre quando, finalmente, si arrestò l’offensiva che portò risultati deludenti per il nostro esercito e la consapevolezza che gli equilibri al fronte non erano mutati. Alla luce di queste analisi anche le conquiste sulla Bainsizza si rivelarono ininfluenti dal punto di vista strategico. Gli austriaci, di contro, ebbero modo di ritracciare le loro linee difensive e appoggiarle a tre pilastri inespugnabili: la testa di ponte di Tolmino, il Monte san Gabriele e il Monte Hermada.
Numerosi, purtroppo, furono i caduti del nostro comune; nell'altopiano della Bainsizza, quasi alla fine di agosto, due nostri soldati persero la vita: Sante Vanin e Giulio Favaro. Poi, negli scontri di settembre, il nostro Agostino Bandiera cadde in una delle reiterate azioni sul Monte San Gabriele. Lo stesso giorno, nei pressi di Salcano, venne fatto prigioniero Antonio Cazziola che, dopo la ritirata di Caporetto, fu internato nel campo di prigionia austro ungarico di Brazzano di Cormons dove morì, sette mesi dopo, per malattia. E ancora, in una azione lungo il fronte isontino, il nostro Antonio Grilletti fu ferito gravemente e morì in ottobre.
Anche le malattie contratte in trincea continuavano a mietere vittime tra i soldati. Il nostro Luigi Schiavon, contrasse una malattia endemica che rese necessario il suo ricovero alla vigilia della battaglia e che lo condurrà alla morte dopo un anno di sofferenze.
La guerra reclamò vittime anche tra le cosiddette Centurie Lavoratori che operavano al fronte nell'allestimento di ponti e manutenzione dei collegamenti stradali come il nostro Giovanni Favaro che morì per un incidente al fronte il 10 di ottobre.
Questo terribile periodo costò la spaventosa perdita, per il nostro esercito, di quasi 55 mila uomini tra morti e dispersi e di circa 90 mila feriti e, per l’esercito austro ungarico, la perdita di 10 mila morti e 75 mila feriti.
Eppure, l’attacco mise per davvero in crisi l’esercito imperiale, un altro sforzo da parte del nostro esercito avrebbe fatto collassare inevitabilmente il fronte e aperto la strada alla vittoria italiana. Il nostro esercito, però, era dissanguato dall’offensiva e non riuscì a spingersi oltre. I tedeschi compresero la gravità del pericolo corso dal loro alleato e decisero di correre ai ripari, mandando aiuti per rinforzare il fronte. E in questo furono anche aiutati dallo scoppio della Rivoluzione Russa che, liberando quel fronte consentì loro lo spostamento di ingenti forze verso il fronte italiano e di gettare i presupposti per la grande controffensiva che culminò, in poco più di un mese, nella Battaglia di Caporetto.
DODICESIMA BATTAGLIA: 24 OTTOBRE - 9 NOVEMBRE
Il 24 ottobre 1917 gli austriaci, con l’appoggio di alcune divisioni dell’esercito tedesco, attaccarono le nostre truppe sull’Isonzo e diedero inizio a un grande attacco che scompaginò il nostro schieramento e che, con l’evoluzione dell’offensiva dei giorni successivi, determinò lo sfaldamento del fronte e il ripiegamento verso il Piave. La dinamica e le conseguenze dell’evento bellico sono, ancora oggi, oggetto di studio e di riflessione. Gli aspetti tattici e strategici, le concomitanze, le coincidenze fauste per taluni ed infauste per altri non hanno ancora fatto completa chiarezza. Ci furono protagonisti che, accusati all’inizio, sono stati parzialmente riabilitati ed altre figure, inizialmente considerate minori che, a successive riletture, sono apparsi meno “innocenti” di quanto si fosse pensato. Sopra alle valutazioni e alle analisi rimane, e rimarrà, la portata dell’evento bellico che spinse il nostro esercito e l’intera Nazione sull’orlo della sconfitta totale.
Il 23 ottobre il corso del fiume Isonzo, dalla conca di Plezzo e fino al mare, era in mano italiana eccezion fatta per la testa di ponte di Tolmino. Il fronte, fino a quel punto seguiva la linea delle montagne per poi piegare verso est inglobando l’altopiano della Bainsizza, la città di Gorizia e il Carso.
Dopo l’Undicesima Battaglia dell’Isonzo i tedeschi compresero che l’alleato impero austro ungarico era sempre più in difficoltà e, per ridare fiato alle sue truppe, era necessaria una grande controffensiva in modo da recuperare parte del terreno perduto soprattutto nella zona dell’altopiano della Bainsizza. Il piano austro tedesco si articolò in un duplice fronte con un attacco da Tolmino e con un altro dalla conca di Plezzo.
Alle 2 di notte del 24 ottobre 1917 le nostre posizioni furono fatte segno di un pesante bombardamento con cariche convenzionali e altre con gas di nuova concezione che misero subito in difficoltà le nostre truppe decimandole soprattutto sulla zona tra Plezzo e l’Isonzo. In questa prima drammatica fase il nostro Alfiero Basso risultò disperso e non fu più ritrovato. Sotto il bombardamento nemico saltarono le comunicazioni, stese lungo il fronte senza adeguate protezioni, e resero scoordinato, impreciso e, quindi, inefficace il fuoco delle nostre artiglierie che tentarono, dopo qualche ora, di fermare l’assalto austro tedesco.
Dopo aspri combattimenti e nonostante la tenace resistenza delle nostre truppe sul Rombon e nella zona di Saga, l’impeto dell’assalto nemico, favorito anche dalla nebbia e dall’audacia di alcuni reparti tedeschi che assaltarono le nostre posizioni ancora sotto il fuoco dei loro stessi cannoni, costrinse i nostri reparti a indietreggiare fino alle pendici del Monte Stol.
Qui, il 25 ottobre nei furiosi combattimenti, il nostro Giuseppe Troncon cadde sul campo di battaglia e non fu più ritrovato.
Divisioni tedesche, intanto, giunsero a Caporetto travolgendo alcuni reparti italiani che, sempre per la carenza di comunicazioni, furono colti di sorpresa concedendo al nemico un vantaggio operativo che divenne sempre più incolmabile.
Le stesse divisioni tedesche, superato Caporetto puntarono verso ovest in direzione del fiume Torre e verso Cividale e Udine con l’obiettivo di tagliare il fronte e isolare le truppe italiane dislocate in Carnia.
Sempre il 25, più a sud di Tolmino lungo il corso dell'Isonzo, la Brigata Lambro fu coinvolta nelle prime azioni difensive nei pressi di Avscek (oggi Auzza) e il suo 206° Reggimento sostenne l'urto delle forze nemiche.
Durante i combattimenti, il nostro Ernesto Gatto fu fatto prigioniero e morì in campo di prigionia.
Altri soldati del nostro comune incontrarono la stessa sorte, in questo e nei giorni successivi, in altri campi di battaglia lungo il fronte ormai crollato. Giorgio Gasparin, Sante Lazzaro, Angelo Brunello, Casimiro Coloschi, Augusto Granello, Enrico Michieletto, Luigi Costante Franchin, caddero nelle mani degli austriaci e, tutti, morirono successivamente in prigionia.
Solo il 27 ottobre Cadorna, che aveva sperato in una tenuta del fronte tra il Monte Kuk di Plava e Salcano, prendendo atto che le postazioni italiane non avevano retto l’urto dell’assalto nemico, ordinò il ripiegamento sul Tagliamento e, contemporaneamente, l’immediato abbandono del fronte Carnico assieme al ritiro più graduale da quello sul Cadore così da raggiungere lo scopo di ridurre la lunghezza dell’intero fronte e rinsaldarlo dalla linea degli altipiani, passando per il Grappa e, infine sull’estremo baluardo del Piave. Le operazioni di ripiegamento dai fronti alpini furono meno caotiche e frenetiche ma in qualche caso, alcuni reparti mal informati, ritardarono e furono fatti prigionieri. Tra loro c'era il nostro Vincenzo Vanin. Anche lui non fece più ritorno a casa.
Tutta la manovra di ripiegamento, quasi un milione e mezzo di soldati, si svolse nella completa difficoltà generata dall’interruzione delle comunicazioni e dal crescente senso di sconfitta che gettò nello scompiglio e nel caos intere divisioni.
Ma altri reparti, con consapevole sacrificio, si attestarono nelle ultime posizioni difendibili e causarono un rallentamento dell’avanzata nemica permettendo, a costo della vita, la salvezza dell’intera Terza Armata del duca d’Aosta che era attardata e, praticamente, si trovava ormai dietro le nuove linee nemiche. Tra questi reparti c'era anche il 13° Reggimento cavalleggeri che ingaggiò una feroce resistenza nei pressi di Pasian Schiavonesco (ora Basiliano). Al reggimento apparteneva anche il nostro Giovanni Biasuzzi che fu fatto prigioniero durante lo scontro e, purtroppo, non fece più ritorno a casa.
Il 27 ottobre i tedeschi occuparono Cividale del Friuli e il giorno dopo Udine mettendo in serio pericolo l’intera Terza Armata ancora attardata a est. I tedeschi, però, si accorsero troppo tardi della possibilità di accerchiare l’armata italiana e così il Duca d'Aosta e le sue truppe riuscirono a mettersi in salvo. Questo fu possibile grazie anche alla valorosa resistenza di alcuni reparti italiani lasciati alla retroguardia per rallentare l'avanzata nemica. A Flambro, una decina di chilometri a sud di Pasian Schiavonesco, i due reggimenti della Brigata Granatieri impegnarono con risoluta tenacia le truppe tedesche dal 27 al 31 ottobre. Durante i combattimenti la Brigata Granatieri subì numerose perdite compreso il loro comandante, il Colonnello Emidio Spinucci. Altri caddero prigionieri del nemico come il nostro Lorenzo Favarato che, dopo più di un anno di dura prigionia poté infine far ritorno a casa.
Intanto il 27 di ottobre Cadorna e l’intero Comando Militare avevano abbandonato Udine e si erano ritirati a Treviso senza lasciare un posto di comando in grado di coordinare la già caotica ritirata. Mancato ogni riferimento gerarchico le truppe si trovarono senza guida e tentarono, alla meglio, di sfuggire alla morsa degli schieramenti nemici. Nella drammatica situazione di sbandamento, tuttavia, quasi 600 mila soldati riuscirono a compiere il ripiegamento in modo ordinato e giunsero sulla nuova linea del fronte in tempo per opporre la straordinaria resistenza che, infine, arrestò la terribile offensiva nemica.
Purtroppo, complice l’ordine di ritirata giunto troppo tardi, i 90 mila uomini che avevano abbandonato il fronte carnico non riuscirono a sganciarsi dal nemico e, ormai ai primi di novembre, furono intercettati dal nemico mentre scendevano lungo il Tagliamento per ricongiungersi alle altre nostre truppe. Gran parte dei nostri soldati caddero o furono catturati durante i numerosi e aspri combattimenti soprattutto nella zona attorno a Pielungo. Tra loro c'era il nostro Carlo Ricci che, combatté eroicamente fino allo stremo delle forze. Gravemente ferito venne catturato e morì, anche lui, in prigionia.
La Seconda Armata e tutte le retrovie pagarono il prezzo più alto perdendo tra morti, feriti, dispersi, prigionieri e sbandati quasi 700 mila uomini. A questi s’aggiunsero più di 400 mila civili in fuga dai territori dove l’occupazione austro tedesca avrebbe portato miseria e disperazione per un lungo e terribile anno.
Inevitabile la resa dei conti nei confronti del primo responsabile, in quanto comandante supremo dell’esercito, della pesante sconfitta. Il Generale Cadorna, su pressione anche degli alleati fu trasferito come rappresentante presso il Consiglio di Guerra Interalleato. Al suo posto fu nominato il generale Armando Diaz che ricevette l’incarico dal nuovo governo presieduto da Vittorio Emanuele Orlando.