1916 Fronte Isontino - La Guerra all'orizzonte

QUINTO DI TREVISO  - 1915 / 1918
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1916 - IL FRONTE ISONTINO: QUINTA, SESTA, SETTIMA, OTTAVA E NONA BATTAGLIA DELL' ISONZO

Durante il 1915 le truppe italiane, nonostante i numerosi tentativi culminati nelle prime quattro Battaglie dell'Isonzo, non riuscirono a sfondare in maniera significativa le linee austro ungariche a ridosso del fiume Isonzo. La linea del confine era avanzata verso est ma alcuni obiettivi prefissati non erano stati raggiunti. Il 15 novembre, durante la conferenza dell'Intesa che si tenne a Chantilly, il nostro Comando Supremo fu esortato a continuare in modo ancora più incisivo, la pressione lungo tutto il fronte, in specialmodo, nell'area isontina.


Il generale Cadorna, già conscio dell'importanza di continuare le operazioni che avrebbero ottenuto, oltre allo sfondamento del fronte, anche lo spostamento di attenzione degli Imperi Centrali dagli altri fronti di guerra dove gli alleati versavano in una stasi difficoltosa, iniziò i preparativi per il conseguimento dello scopo. Durante il 1916, a partire da marzo e fino agli inizi di novembre, il fronte si infiammò sotto l'urto delle cinque Battaglie dell'Isonzo.
Quinta Battagliadal 9 marzoal 15 marzo
Sesta Battagliadal 4 agostoal 17 agosto
Settima Battagliadal 14 settembreal 18 settembre
Ottava Battagliadal 10 ottobreal 12 ottobre
Nona Battagliadal 31 ottobreal 4 novembre
QUINTA BATTAGLIA: 9 MARZO - 15 MARZO

La battaglia si svolse sul Carso e sulla zona di Tolmino che costituiva la testa di ponte del nostro esercito verso est. Furono portati attacchi al Merzli, sul Santa Maria, sul Podgora, al Monte San Michele, e a San Martino del Carso. In realtà non si trattò di una battaglia coordinata, bensì di brevi scontri che avevano l'intento di tenere occupato il nemico come da ordini dell'Alto Comando e in esecuzione degli accordi di Chantilly.  Gli attacchi, in definitiva, furono eseguiti  a discrezione dei singoli comandanti sulla base di strategie locali. Gli scontri andarono affievolendosi per via delle condizioni climatiche sfavorevoli.
In maggio il nostro esercito dovette affrontare una pesante controffensiva austro ungarica sul Trentino che culminò nella Battaglia degli Altipiani e che costrinse Cadorna a spostare ingenti forze dal Carso al Trentino. Anche questa situazione concorse alla decisione di rimandare all'estate ogni nuova offensiva di vasta portata sul fronte isontino.
Tuttavia, nella zona di Gorizia le azioni belliche tra i due eserciti continuarono ininterrotte. Il 29 giugno del 1916, vi fu il primo attacco austro ungarico effettuato con il gas tossico. Sulle linee del Monte San Michele, colti nel sonno, quasi 3 mila uomini del nostro esercito morirono e altri 4 mila rimasero gravemente intossicati. La tenuta delle nostre difese, che sembrava ormai compromessa, nonostante tutto, resse grazie allo straordinario comportamento dei fanti dell'undicesimo Corpo d'Armata che ributtarono indietro gli assalitori.

SESTA BATTAGLIA: 4 AGOSTO - 17 AGOSTO

La Sesta battaglia dell’Isonzo costituì il primo vero successo militare del nostro esercito e portò ad un importante spostamento del fronte verso est e la conseguente liberazione di Gorizia.
Gli austro ungarici stavano subendo una nuova pressione sul fronte russo che avevano essi stessi indebolito spostando truppe sul fronte Trentino dove avevano sperato in una facile vittoria sullo schieramento italiano.
Il generale Cadorna preparò in modo minuzioso l'attacco e lo sferrò cogliendo di sorpresa gli austriaci. La liberazione di Gorizia e la conquista del territorio limitrofo erano obiettivi necessari per il successivo balzo verso Trieste e verso Lubiana.
Dopo un violentissimo bombardamento preparatorio, iniziato il 4 di agosto, cominciò l'attacco italiano su tre direttrici: Podgora, Oslavia, Sabotino. A nord, sul monte Sabotino, il nostro esercito espugnò la vetta, superandola e scendendo sulla sponda destra dell’Isonzo. A sud, il monte San Michele,  cadde quasi subito in mani italiane mentre, ad ovest, le postazioni nemiche resistettero sul monte Podgora per tutto il primo giorno ma cedendo il secondo permettendo alle nostre forze di occupare, oltre al Podgora, anche Oslavia e  aprirsi la strada verso Gorizia.
Tutta la linea difensiva austro-ungarica nei pressi di Gorizia crollò rapidamente. La pressione italiana sul fiume Isonzo risultò così impetuosa e decisa che gli austriaci, altro non poterono fare se non iniziare a ritirarsi su posizioni più arretrate organizzate sui monti a est della città distruggendo alcuni ponti tra cui quello di Salcano, costruito appena dieci anni prima.
Finalmente, dopo che l'esercito italiano passò l'Isonzo a Salcano, la Brigata Pavia strinse l'assalto verso la stazione ferroviaria, annientò l'ultima difesa austriaca ed entrò a Gorizia. Issando il tricolore nei pressi della stazione ferroviaria ne decretò finalmente la liberazione. Il Generale Cadorna lo annota nel Bollettino di Guerra N. 467 del 9 agosto 1916.
I contrattacchi austriaci, nei giorni successivi, non cambiarono le sorti della battaglia e il comando supremo italiano, decise di continuare l'attacco per raggiungere anche la seconda linea difensiva alle spalle della città. Questa seconda ondata provocò la ritirata austriaca ancora più a est con l’abbandono di posizioni importanti del Carso occidentale, come il Monte Sei Busi, la zona di Doberdò del Lago e il monte Cosich a nord di Monfalcone. Il 17 agosto, tra grandi celebrazioni per la conquista di Gorizia, le operazioni furono definitivamente sospese.
Questo grande successo del nostro esercito, tuttavia, costò ancora una volta un pesante tributo di vite umane. Circa 50 mila uomini furono messi fuori combattimento e si contarono più di 6 mila morti. Gli austriaci persero quasi 4 mila uomini oltre ad altri 33 mila tra feriti e prigionieri.
La Battaglia, dunque, terminò ufficialmente il 17 agosto ma numerosi successivi combattimenti, volti al consolidamento delle nuove posizioni raggiunte, si verificarono per tutto il resto di agosto e anche per gli inizi di settembre. Durante una di queste azioni, nei pressi di Savogna, sul medio Isonzo, perse la vita il nostro Luigi Zugno.


SETTIMA BATTAGLIA: 14 SETTEMBRE - 18 SETTEMBRE

Dopo la conquista di Gorizia il generale Cadorna decide di effettuare degli attacchi non su vasta scala ma focalizzati su settori ridotti e ben delimitati. La scelta è anche suggerita dalla consapevolezza di non disporre di forze militari sufficienti per nuove offensive come le precedenti.
Il recente rafforzamento dell'artiglieria italiana consentiva, finalmente, una nuova strategia che comportava forti bombardamenti per indebolire le difese nemiche, spianare la strada alla fanteria eliminando quanto più possibile sbarramenti di reticolati e postazioni di mitragliatrici e, in caso di contrattacco, respingere il nemico con ulteriori bombardamenti.

Il 14 settembre iniziò la Settima Battaglia dell’Isonzo, la prima di tre offensive limitate al Carso, che si susseguirono nell' arco di due mesi.
Il terreno dello scontro, arido e pietroso, non offriva riparo ai fanti che avanzavano all'attacco mentre i difensori potevano contare sulla morfologia carsica ricca di doline, buche e gallerie ove annidarsi e opporre la massima resistenza.
Anche il clima di quei giorni portò ulteriori difficoltà al nostro esercito. Piogge torrenziali, nebbia e poi ancora pioggia impedirono il successo degli attacchi. Solo modesti risultati furono raccolti grazie alla conquista di quota 265 a occidente del Veliki Hribach e la successiva conquista dell'altura di San Grado di Merna sopra il corso del fiume Vipacco prima della confluenza nell'Isonzo.
Gli scontri continuarono fino a tarda sera del 17 settembre quando il generale Cadorna ordinò la sospensione dell'offensiva. Questa decisione, in realtà, era già stata presa dal generale il giorno 15 ma il Comando della Terza Armata insistette e convinse Cadorna a proseguire le azioni belliche nel tentativo di ottenere dei risultati sul monte Rombon.
L’azione vide impegnata anche la Seconda Armata ma la resistenza austroungarica vanificò i tentativi delle nostre truppe nonostante la lotta accanita per la conquista della vetta.

Nonostante la ridotta estensione del fronte lungo il quale si svolse la battaglia e la sua durata, le perdite furono altissime: quasi 6 mila uomini tra morti e dispersi e circa 15 mila feriti. Gli austro ungarici persero, anche loro, quasi settemila uomini, morti e dispersi, e circa 13 mila feriti anche se questo numero si riferisce all'intero mese di settembre e non alla sola Settima Battaglia.
Durante gli scontri lungo la linea del fronte interessata dalla battaglia ma anche in settori limitrofi, che a Nord coinvolsero il settore di Plava, tra il 14 ed il 18 di settembre alcuni nostri soldati, Federico Libralesso, Antonio Cattarin, Giuseppe Marangon, Luigi De Lazzari, trovarono la morte in diverse azioni e anche, come Giovanni Piovesan, nei giorni successivi alla fine della battaglia.


OTTAVA BATTAGLIA: 10 OTTOBRE - 12 OTTOBRE

All’alba del 10 ottobre l’esercito italiano iniziò l’attacco con l’artiglieria e le bombarde. A metà pomeriggio la fanteria entrò in azione. Gli scontri furono durissimi ma i progressi minimi.
Iniziò così l’Ottava Battaglia dell’Isonzo che, combattuta nella zona di Doberdò del Lago, a est di Monfalcone, poteva essere considerata come la logica continuazione della precedente.

Gli obiettivi militari fissati dal Comando italiano e la strategia bellica erano gli stessi.
Le truppe italiane riuscirono a raggiungere il piccolo borgo di Jamiano, frazione di Doberdò del Lago, ma dopo duri scontri non furono più in grado di mantenere le posizioni conquistate. Intanto, sulla linea del fronte posta più a Nord e non direttamente coinvolta nella battaglia, negli scontri nei pressi di Vertoiba sui rilievi del Sober, i nostri fanti conquistarono alcuni tratti delle linee nemica con la cattura di qualche migliaio di prigionieri.
Tuttavia i risultati della prima giornata di battaglia sono inferiori alle aspettative del Comando italiano che ordina, per il giorno dopo, la ripresa degli attacchi intensificandone il vigore.
I poderosi sforzi del nostro esercito non portarono grandi avanzamenti ma riuscirono nell'intento di stremare i difensori che furono costretti ad un nuovo ripiegamento per dare respiro alle difese.
Il 12 ottobre gli austro ungarici, nel tentativo di mascherare questo ripiegamento, sferrarono numerosi contrattacchi ma i Comandi di Divisione compresero rapidamente la strategia nemica ed opposero ulteriori azioni che portarono le nostre truppe a ridosso della linea difensiva austriaca apprestata dopo il repentino ripiegamento del giorno precedente.
In serata, la valutazione ad opera dei Comandi di Divisione sulla dislocazione della nuova linea dei difensori, consigliò al Comando Militare di dare l'ordine di porre fine alla battaglia.

Anche se l'Ottava Battaglia dell'Isonzo si svolse in un arco di tempo ridottissimo le perdite, purtroppo, furono davvero elevate. Quelle del nostro esercito ammontarono a quasi 9 mila morti e dispersi e a 15 mila feriti. Quelle austriache furono di più di 25 mila unità tra morti, dispersi e feriti.
Tra i numerosissimi caduti italiani ci sono anche dei soldati del nostro comune; Angelo Favaro, Giuseppe Vedelago e Giuseppe Brunello morto, quest'ultimo, tre giorni dopo la fine della Battaglia per le ferite riportate durante i combattimenti.


NONA BATTAGLIA: 31 OTTOBRE - 4 NOVEMBRE

Anche la Nona battaglia dell’Isonzo si combatté con gli obiettivi e le modalità delle due precedenti.
Il 31 ottobre il Comando militare italiano, dopo aver riorganizzato le truppe e coordinato le difese, diede l'ordine per il bombardamento preparatorio all'attacco della fanteria che inizò il primo novembre lungo tutto il fronte dal Vipacco al mare.
Nel settore settentrionale i nostri soldati travolsero le prime linee austro ungariche e riuscirono a conquistare Cima Grande (Veliki - Hribach), grazie anche all’appoggio delle batterie di piccolo calibro dell'artiglieria da montagna.
Nel frattempo, altri nostri reparti conquistarono la sommità del Pecinka e le Cave di pietra sulla strada Opacchiasella - Castagnevizza.
Questi successi portarono, inoltre, alla cattura di circa 4 mila prigionieri austro ungarici.
Durante la notte e la mattina seguente gli austriaci bombardarono pesantemente Cima Grande (Veliki - Hribach) e il Pecinka, nel tentativo di riconquistare il terreno perduto il giorno precedente. La nostra fanteria resse i contrattacchi e, addirittura, nel pomeriggio riuscirono ad occupare anche quota 432 del Faiti anche se ulteriori tentativi di proseguire oltre furono arrestati dalla difesa austriaca asserragliata sui trinceramenti più a sud.
Anche il secondo giorno della battaglia consente, al nostro esercito, di guadagnare terreno e catturare ulteriori 4 mila prigionieri.
Nella Zona a nord est del San Marco e sulla strada Gorizia - Voghersca le condizioni del terreno, reso fangoso dalle pesanti piogge, rese impossibile l'assalto in profondità verso le linee nemiche che così ebbero modo di riorganizzarsi.
Soddisfatto dei risultati ottenuti dal nostro esercito la sera del 2 novembre, il generale Cadorna, ordinò di sospendere la battaglia.
Ma, il giorno successivo, su proposta del comando della III armata, si decise di riprendere i combattimenti per sfruttare i vantaggi ottenuti dalle precedenti azioni nel tentativo di avvolgere le posizioni nemiche.  Un bombardamento controffensivo degli austriaci rallenta i movimenti delle nostre fanterie che, comunque, riuscirono a sviluppare l'azione anche se solo nel tardo pomeriggio.
Le operazioni italiane continuarono per tutta la notte, ma le impraticabili condizioni del terreno e la sua impervia morfologia obbligarono il comando a sospendere l'azione in attesa delle luci del mattino seguente. I nuovi assalti del quattro novembre non portano risultati anche in ragione della resistenza degli austriaci che, per i rallentamenti subiti dai nostri fanti nei giorni precedenti, ebbero modo di rinforzare le loro linee difensive.
La sera del 4 novembre il comando d'Armata ordinò la sospensione degli attacchi e la riorganizzazione delle difese, in previsione di un nuovo grande attacco che il Comando Supremo aveva programmato su tutto il fronte. Ma un ulteriore peggioramento delle condizioni climatiche rese necessaria la sospensione definitiva di tutte le operazioni su vasta scala fino alla primavera dell'anno successivo.
Le perdite italiane durante la Nona battaglia dell’Isonzo ammontarono a 14 mila morti e dispersi e ad altri 20 mila feriti. Lo schieramento austro ungarico perse circa 23 mila uomini di cui quasi 11 mila tra morti e dispersi e 12 mila feriti.
In questa battaglia perse la vita il nostro Giuliano Marangon e nelle azioni di assestamento e disturbo dei giorni successivi un altro nostro soldato, Fioravante Lazzaro, venne ferito a morte.



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