LA BATTAGLIA DI VITTORIO VENETO - Terza Battaglia del Piave
Francia ed Inghilterra avevano richiesto al nostro Comando Militare un’azione offensiva sul nostro fronte per allentare la pressione su quello occidentale. Il generale Diaz, in attesa di un completo riassestamento delle nostre truppe dopo lo sforzo profuso durante la Battaglia del Solstizio, continuava a rinviare l’azione anche in attesa dei promessi aiuti americani. Aiuti che non giunsero mai a parte un alquanto esiguo contingente assolutamente ininfluente nel quadro generale delle ostilità e infinitamente ridotto rispetto ai quasi due milioni di uomini che gli americani avevano inviato sul fronte francese.
Intanto, già dal 26 settembre riprese l'offensiva dell'Intesa sul fronte occidentale sostenuta anche dallo splendido comportamento del nostro Corpo di Spedizione in Francia guidato dal Generale Alberico Albricci. Il 29, sul fronte macedone, la Bulgaria firmò l'armistizio di Salonicco uscendo dalla guerra e il 4 ottobre anche gli Imperi centrali avviarono i primi contatti informali per una cessazione delle ostilità. Il rischio, temuto dal nostro presidente del Consiglio Orlando, che la guerra terminasse trovandoci ancora su posizioni difensive stava diventando reale. Questo avrebbe potuto mettere in discussione la promessa dell'assegnazione dei territori richiesti dall’Italia con il patto di Londra del 26 aprile 1915.
Fu, infine, stabilita l’offensiva fissandone l’inizio per la fine di ottobre.
TRAINO DI ARTIGLIERIA SUL GRAPPA
Il Comando Supremo scelse di distogliere e confondere le forze austro ungariche con azioni di attacco sul Monte Grappa che iniziarono il 24 ottobre.
Contemporaneamente, sulla linea del Piave, avrebbe dovuto prender corpo la vera offensiva ma le condizioni del fiume in piena ne impedirono l’avvio nei tempi previsti. Questo comportò la necessità di continuare l’offensiva sul Grappa, guidata dal Generale Giardino, pur sapendo che non avrebbe ottenuto risultati importanti e che, anzi, avrebbero potuto demoralizzare la truppa trovandosi, come ai tempi delle Battaglie dell’Isonzo, a sacrificare energie e vite per risultati minimi.
Finalmente, il 27 ottobre, alcuni ponti sul Piave ressero la piena e gli effetti dei bombardamenti austriaci e posero alcuni nostri reparti nella condizione di creare alcune teste di ponte oltre la riva sinistra del Piave.
Sul Grappa la situazione era bloccata e, anzi, le nostre truppe stavano subendo alcuni contrattacchi nemici. Per questa ragione il Generale Giardino decise di sospendere l’offensiva in attesa del miglioramento della situazione sul fiume.
Finalmente la piena del Piave diminuì e, come previsto dal piano di battaglia, le nostre truppe poterono attraversarlo iniziando la disgregazione della difesa austriaca.
ATTRAVERSAMENTO DEL PIAVE
Già nella giornata del 30 ottobre le truppe italiane liberarono Vittorio Veneto incontrando le popolazioni vessate e martoriate da un terribile anno vissuto sotto una spietata dominazione da parte, soprattutto, delle truppe ungheresi e tedesche.
Da quel momento, pur incontrando ancora tenaci resistenze da parte dell’esercito austro ungarico in scomposta ritirata, fu un dilagare delle nostre truppe sia verso oriente che verso nord. Trento fu liberata il 3 di novembre e, lo stesso giorno, i nostri soldati arrivarono a Trieste dove già da alcuni giorni i cittadini erano insorti contro l’invasore.
Le truppe giunsero via mare a bordo di navi partite da Venezia. Prima ad attraccare al molo San Carlo (diventato poi molo Audace) fu il cacciatorpediniere "Audace" dal quale sbarcò un battaglione di bersaglieri al comando del Ten. Generale Carlo Petitti di Roreto.
E proprio lo stesso giorno, a Villa Giusti, l’Austria Ungheria firmò l’armistizio con il Regno d’Italia stabilendo la cessazione delle ostilità per il giorno dopo.
Nelle rimanenti ore, seguendo direttive specifiche diramate dal nostro Comando, le truppe incalzarono ulteriormente i fuggitivi guadagnando terreno ovunque, catturando interi reggimenti e ingenti quantità di materiale bellico.
LA POPOLAZIONE IN FESTA ACCOGLIE I NOSTRI FANTI
PASSAGGIO DEL MONTICANO
LE PRIME NAVI ITALIANE ATTRACCANO AL PORTO DI TRIESTE
TRUPPE ITALIANE PASSANO IL CORDEVOLE TRA LA POPOLAZIONE IN FESTA
Finalmente, dopo più di quaranta mesi di guerra, le ostilità cessarono su tutto il fronte alle ore 15 del 4 novembre 1918.
L'ARRIVO DI UN REPARTO DI LANCIERI A TRENTO
L'esito vittorioso dell'offensiva italiana fu determinato anche dal grande lavoro di "intelligence" portato avanti dagli eroici agenti segreti della "Giovane Italia", infiltrati nei territori occupati, che operarono in condizioni difficili e, in più di un'occasione, con azioni leggendarie.
Non possiamo, tra loro, non citare anche se a puro titolo di esempio, le straordinarie figure di Giacomo Camillo De Carlo e di Alessandro Tandura che, con tenacia e determinazione, fornirono al Comando italiano fondamentali e dettagliate informazioni tali da permettere al nostro esercito di poter organizzare la difesa, in occasione della Battaglia del Solstizio, e di lanciare la grande offensiva di Vittorio Veneto con la piena conoscenza delle unità nemiche che aveva di fronte e della loro dislocazione.
Durante la Battaglia di Vittorio Veneto si dimostrò importantissimo anche il ruolo degli aviatori che, a bordo dei loro biplani, contribuirono con bombardamenti, mitragliamenti a bassissima quota, ricognizioni e controllo del cielo all'esito vittorioso del conflitto. E l'aviatore Mario Fucini, nelle pagine del suo libro, così descrive la sua emozione:
"È finita! I fanti hanno vinto, i marinai hanno vinto, gli aviatori hanno vinto! S'aspetta la resa del nemico, l'armistizio, d'ora in ora....
Sopraggiunge a destarci un rombo multiplo, alto nel cielo; sono stormi nostri che avanzano in schiere serrate. Le macchine a quando a quando, con un largo rollare, si accostano le une alle altre. Sappiamo perché: perché i piloti voglion vedersi in faccia. Essi di certo gridano, ma il canto formidabile di cento e cento motori ruba le loro grida. Dove vanno?
Verso Pordenone, verso Udine, più oltre....
Forse è l'ultimo bombardamento. Ma quelle ali splendenti, scoccate verso il cielo che fu del nemico, non sono più ali di guerra: sono il messaggio della vittoria."
Tra le innumerevoli azioni condotte dai nostri piloti in questa e in tutte le altre fasi del conflitto vogliamo sottolineare l'epica impresa di due sergenti, Capparucci e Codeghini, che, per sfuggire alla cattura e continuare a combattere, si fecero artefici di un'azione al limite dell'umano ardire.
Molto si è detto e scritto di questa ultima battaglia. Con toni diversi quanto diverse erano le voci e i tempi. In alcuni periodi fu esaltata in altri fu sminuita e, ultimamente perfino dimenticata. Al di là di ogni possibile lettura, però, mai dobbiamo scordare quanti, in quei giorni, così come durante tutta la Guerra, persero la vita nell'adempimento del dovere. Anche questa ultima e vittoriosa Battaglia, infatti, chiese l’ennesimo tributo di sangue. Nei dieci giorni di combattimenti il nostro Esercitò contò circa 37 mila perdite tra morti, dispersi e feriti.
Tra loro, ad Alano di Piave, cadde anche il nostro Giuseppe Favaro, caporal maggiore del Primo Reggimento di fanteria.
Giuseppe fu l'ultimo soldato del nostro comune a morire in combattimento. Cadde il 29 ottobre del 1918. Più di milleduecento giorni dopo la prima vittima, Antonio Marangon.
Molti altri, troppi, morirono anche oltre la fine della guerra. Tutti, in qualche modo, attanagliati dai tentacoli di quel mostro che divorò intere generazioni in Europa e nel mondo.
Morirono, quei ragazzi, per le conseguenze dell'immane conflitto. Consumati inesorabilmente nel corpo e nello spirito.
Quanti invece sopravvissero, artefici innegabili della grande storia, portarono a casa il terribile fardello della guerra fatto di incubi e di orrori che mai, mai poterono dimenticare.
Di loro, dei sopravvissuti, forse non s'è scritto abbastanza.
Della loro tenacia nel ricominciare.
Della loro fede nella rinascita e delle loro speranze.
Di quanti, purtroppo, sopraffatti dalla miseria e dalle distruzioni trovate al ritorno, scelsero, dolorosamente, di emigrare nel tentativo di cercare una vita migliore per loro e per i loro cari.
Di quanti, infine, credettero in nuove riscosse e pagarono, ancora una volta, il tributo alla Storia.
Foto: Archivio Federale Tedesco
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