LA SANITA' MILITARE - FERITE E MALATTIE DI GUERRA
FANTI DI SANITA' TRASPORTANO UN FERITO AVANZANDO FATICOSAMENTE NEL FANGO DEL FRONTE OCCIDENTALE
Durante la Grande Guerra era stato redatto un decalogo comportamentale ad uso dei nostri soldati qualora fossero rimasti feriti da fuoco nemico.
Il regolamento, in verità abbastanza approssimativo e difficilmente applicabile nella realtà del fronte, veniva consegnato ad ogni militare insieme alla dotazione di auto medicazione che comprendeva garze sterilizzate, bende e tintura di iodio, e che, con il passare dei mesi si "arricchì" di maschera antigas e occhiali protettivi per cercar di dare protezione contro le nuove e terribili armi chimiche.
Il problema più grande era quello delle infezioni. Gli antibiotici infatti non esistevano ancora e una ferita qualsiasi, anche la più banale, poteva rapidamente degenerare in qualcosa di molto più grave e le infezioni e le cancrene erano all'ordine del giorno e la pratica dell'amputazione, per le ferite agli arti, era l'unica pratica medica disponibile.
Per le ferite infette all'addome, al torace o, peggio, alla testa, il decorso era quasi sempre infausto. E' stato calcolato che durante la guerra rimasero feriti circa un milione di soldati italiani. Sicuramente un numero molto elevato ma in linea con gli effetti devastanti delle nuove armi e della qualità di vita delle trincee.
Infatti, oltre alle ferite, c'era il quotidiano tormento della paura, a stento attenuato dalla fede e dalle preghiere, e poi la fatica e il freddo, che soprattutto in alta montagna, non lasciava scampo ai soldati troppe volte protetti da equipaggiamenti assolutamente inadeguati.
E non possiamo certamente dimenticare la fame che non smetteva di torcere le viscere e la mente.
Una fame che le gavette molte volte semivuote non potevano certo combattere senza contare che, infine, anche quelle ridotte razioni, magari mal conservate, venivano consumate nella sporcizia delle trincee tra fango e reflui di latrine improvvisate dentro le trincee stesse e lì allestite per sfuggire al fuoco dei nemici che non esitavano a sparare a chiunque uscisse, anche per necessità fisiologiche, allo scoperto.
Tutto ciò contribuì alla diffusione di germi, batteri, virus, e il primo conflitto mondiale divenne ben presto il brodo di coltura di nuove patologie, come la febbre da trincea, il piede da trincea e il tifo petecchiale trasmesso dai pidocchi che infestavano abiti e coperte.
E non dimentichiamo quanti, prigionieri di guerra, morirono nei campi di prigionia a causa delle stesse malattie alle quali si aggiunsero, privazioni, fame, solitudine, sconforto.
Alla fine, il primo conflitto mondiale fu responsabile di circa 26 milioni di vittime tra civili e militari e di altrettanti feriti e mutilati.
E tra questi non furono mai annoverati quanti rimasero perennemente segnati dalle conseguenze di epidemie, malattie croniche e turbe psichiche che, lentamente, furono ulteriore causa di morti successive alla fine della guerra.
Anche diversi soldati del nostro comune non sfuggirono alle malattie contratte al fronte. Alcuni di loro morirono durante il conflitto mentre, per altri, le patologie tipiche di alcune malattie li condussero alla morte anche alcuni anni dopo.
Soldato | Deceduto il | Luogo |
20/11/1918 | Napoli | |
23/10/1918 | Ospedale da campo 022 - Quinto di Treviso | |
07/10/1918 | Quinto di Treviso | |
04/01/1916 | Mantova | |
24/10/1916 | Torino | |
22/10/1918 | Saint Jean de Marne (Francia) | |
29/03/1917 | Ospedaletto da campo 85 - Saciletto | |
14/08/1918 | Ospedale da campo 022 - Quinto di Treviso | |
16/09/1917 | Drezzo (Como) | |
24/07/1922 | Quinto di Treviso | |
14/07/1920 | Quinto di Treviso | |
22/12/1918 | Padova | |
26/10/1918 | Leskovik (Albania) | |
25/10/1918 | Ospedale Militare di tappa - Vicenza | |
19/11/1915 | Ospedale da campo 230 - Langoris | |
12/10/1918 | Quinto di Treviso | |
25/12/1922 | Quinto di Treviso | |
07/12/1917 | Ospedale da campo 0108 - Salonicco | |
08/10/1917 | Ospedale Militare di Maddaloni (Caserta) | |
05/08/1918 | Ospedale Militare di Pistoia | |
05/11/1915 | Ospedale da campo 230 - Langoris | |
26/09/1918 | Vicenza | |
24/12/1923 | Quinto di Treviso |
Gli effetti nefasti che si protrassero anche negli anni successivi furono anche quelli meno monitorati mentre il pericolo di portarsi dietro per sempre, nella forma di disturbi neurologici, le conseguenze traumatiche della guerra era sempre più reale.
Perché i soldati, sotto la costante minaccia di una morte improvvisa, scossi dai forti rumori di spari ed esplosioni, iniziarono a manifestare le cosiddette "nevrosi da guerra". La più diffusa, ovviamente, fu lo shock da bombardamento che provocava tremore, allucinazioni ed estraneazione dalla realtà.
Da qui l'impietosa etichetta di "Scemo di guerra" data a quei reduci di guerra affetti da forme di disagio psicologico.
Questa patologia si era già presentata anche durante il periodo bellico ma i primi approcci della medicina furono, ove possibile, ancora più devastanti. Infatti, nel tentativo di curare questi disturbi allora sconosciuti, i medici di un appena nato servizio neuropsichiatrico ricorsero ad un massiccio uso dell'elettroshock rispedendo i pazienti, dopo cure approssimative, di nuovo tra l'inferno del fronte.
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