NON SOLO SOLDATI
L'impiego del lavoro minorile e delle donne nel periodo bellico.
La partenza per il fronte di circa sei milioni di uomini comportò la modifica della vita nelle famiglie.
Il venir meno del reddito di coloro che erano stati chiamati alle armi, fu, inevitabilmente, sostituito dal lavoro di anziani, donne, adolescenti e bambini. La guerra irruppe così nelle vite dei più giovani che affrontarono fatiche e compiti svolti, in precedenza, dagli adulti imponendo a migliaia di adolescenti un ingresso anticipato nel mondo del lavoro anche perché il sussidio, riconosciuto ai figli degli uomini chiamati alla guerra, cessava al compimento del loro dodicesimo anno di età.
In molti casi, il salario percepito da questa nuova categoria di lavoratori non era più un’integrazione del reddito familiare ma divenne la risorsa primaria o addirittura unica per la sopravvivenza della famiglia stessa.
Inizialmente, soprattutto la manodopera minorile, venne utilizzata negli stabilimenti bellici adibiti ai lavori collegati al munizionamento, alle casse di legno per il trasporto dei proiettili e alla produzione di olio di solfuro per la loro lubrificazione.
All'interno delle industrie, gli adolescenti si occupavano di mansioni faticose, insalubri e pericolose con orari e ritmi estenuanti in una condizione aggravata dalla rigida disciplina militare.
Altrettanto massiccio fu l’afflusso di ragazzi verso le retrovie del fronte alla ricerca di lavoro che riguardava la costruzione di trinceramenti, fortificazioni, strade, mulattiere, magazzini e baraccamenti collocati nelle retrovie del fronte, necessari al funzionamento della macchina bellica.
Alcuni studi hanno calcolato che furono almeno 60 mila gli adolescenti tra i 12 e i 19 anni impegnati nei pericolosi cantieri militari operativi a ridosso della linea del fronte. In alcuni casi, come nei cantieri sull'Alto Isonzo, i ragazzi rappresentarono circa il 50% degli operai impiegati nei lavori di trinceramento.
Il reclutamento e l’impiego di questa giovanissima forza lavoro era affidato al Segretariato generale per gli Affari civili che aveva ricevuto dai Comandi Militari il compito della gestione, su tutto il territorio nazionale, dell’invio degli operai verso il fronte.
Nei primi giorni di guerra, le disposizioni prevedevano l'arruolamento dei giovani a partire dai 18 anni di età ma, già durante l'estate del 1915, furono previste quote anche di giovani tra i 16 e i 18 anni.
Successivamente, con l'aumento della richiesta di manodopera, fu abbassata ulteriormente l’età minima dei ragazzi.
Prima con il limite dei 15 – 17 anni, poi, sul finire del 1916, si giunse a consentire l’arruolamento di ragazzini tra i 13 e i 15 anni.
Questa forza lavoro era costituita per circa il 50% da veneti e friulani facilitati dalla vicinanza del fronte e per l’altra metà da ragazzi provenienti da diverse regioni del sud dove la crisi del settore agricolo e l’assenza di industrie belliche avevano determinato una corsa verso il lavoro offerto a ridosso del fronte.
Inizialmente furono impiegati come garzoni e aiutanti ma, nel corso del conflitto, divennero operai a tutti gli effetti, impegnati per 10-12 ore giornaliere nelle mansioni più faticose, come il lavoro nelle cave o il taglio del legname per giungere, in qualche caso, anche a compiti pericolosi, come portatori, che li spingevano fino alle prime linee.
GIOVANISSIMI OPERAI IMPIEGATI NELLA MANUTENZIONE VIARIA
Io sono stato con la truppa – racconta Giobatta Piticco – […] Nel sedici io ho iniziato. Avevo tredici, quattordici anni. S. Giovanni di Manzano, Dolegnano, poi siamo andati fino a Mossa, Lucinico, poi hanno preso il Podgora, Gorizia. Noi andavamo sempre dietro a loro. Eravamo avanti anche noi. Vicino al fronte. Sentivamo tutto, di notte come di giorno. Eravamo al lavoro con loro. Portare su materiale. La notte. Ci davano i bidoni. Ci davano cassette di munizioni. Fino alla ritirata di Caporetto. Lì abbiamo dovuto scappare a casa tutti (Urli 2003, p. 44).
Se adolescenti e ragazzi si resero protagonisti di migrazioni dall'interno del Paese verso il fronte, la manodopera femminile impiegata dai comandi militari fu principalmente reclutata nelle zone vicine alle linee del fronte. Già dai primi mesi del conflitto, adolescenti e bambine tra gli 11 e i 13 anni con madri e sorelle maggiori, furono impiegate nei lavori di manutenzione stradali, nello sgombero della neve e nel trasporto di materiali verso le posizioni ad alta quota.
Appartiene alla memoria collettiva la figura delle portatrici carniche che, lungo quel fronte, sostennero quasi per intero il peso dei rifornimenti ai soldati in prima linea. Successivamente, con la costruzione delle strade e delle teleferiche militari, avvenuta nella primavera del 1916, la manodopera femminile fu impiegata soprattutto per il trasporto di ghiaia e di pietrisco che gli operai utilizzavano per rendere le strade percorribili dai pezzi dell'artiglieria.
Il fenomeno di questa tipologia di lavoro femminile assunse proporzioni enormi dopo gli eventi di Caporetto quando migliaia di donne, molto spesso giovanissime, profughe venete e friulane, quasi sempre separate dalle proprie famiglie, dovettero cercare un reddito di sussistenza partecipando ai lavori di scavo di trincee e canali, occupandosi nei laboratori per la preparazione dei mascheramenti o adibite alla cernita e al ripristino del materiale militare.
Nel corso dell'ultimo anno di guerra...
“ogni casa colonica nelle retrovie della pianura veneta si trasformò in una sorta di laboratorio militare dove giovani ragazze, bambini e donne preparavano le spolette di filo spinato, assemblavano graticci e mascheramenti;
nella pianura ragazzi e adolescenti vennero invece impiegati nei grandi lavori di canalizzazione e di derivazione della acque per permettere ai convogli di rifornire via acqua la popolazione della provincia di Venezia e le truppe schierate sul basso Piave” (Ermacora 2004, p. 53).
Il momento storico e le condizioni di lavoro cui erano sottoposti i giovani operai militarizzati hanno, purtroppo, causato perdite umane del cui numero non possediamo, al momento, dati certi.
Abbiamo potuto, tuttavia, analizzare i dati contenuti nell'Albo d'Oro di Caduti dove furono inseriti anche gli operai militarizzati deceduti durante il lavoro prestato presso i diversi reparti del Genio Militare.
Siamo oltremodo consapevoli che i nominativi trovati tra le pagine dell'albo sono la minima parte di quanti effettivamente persero la vita per infortuni e malattie.
Dal dato di campione abbiamo conteggiato 779 nominativi che avevano un'età inferiore ai 18 anni al momento del decesso.
Questo drammatico numero è suddiviso in:
486 ragazzi di 17 anni,
202 ragazzi di 16 anni,
67 ragazzi di 15 anni,
19 ragazzi di 14 anni,
4 ragazzi di 13 anni,
1 ragazzo di 12 anni.
A questi dobbiamo aggiungere anche i 6952 ragazzi che, al momento della morte, avevano solamente 18 anni anche se, in questo caso, sono compresi anche coloro che sono caduti sul campo di battaglia.
Durante le ricerche abbiamo incontrato Macchia Francesco e Soncin Giovanni, due quindicenni deceduti all'Ospedale da Campo n. 022 a Quinto di Treviso che era operativo durante il 1918.