Fin dal 30 ottobre del 1914 l'Italia aveva inviato in Albania una missione sanitaria. Alla fine di dicembre dello stesso anno la missione era sempre più minacciata dalle bande greche provenienti dall'Albania meridionale. A difesa della missione, quindi, l'Italia, con il consenso dell'Intesa e senza protesta degli Imperi centrali, occupava l'isola di Saseno con un reparto di marina. Contemporaneamente le truppe del 10° bersaglieri, al comando del colonnello Mosca, occupavano la città di Valona.
Durante i primi mesi del 1915 il comando del corpo d'operazione italiano in Albania s'impegnò in una grandissima attività nel migliorare le condizioni igieniche della città e dei dintorni, nell'aumentare la potenzialità del porto e nel gettare le basi del campo trincerato di Valona; tutto questo nel tentativo di pacificare le tribù albanesi e risvegliare in loro, la coscienza nazionale.
Nell'azione politica l'Italia incontrò molte difficoltà, dovendo lottare contro la propaganda degli emissari greci, contro l'opera del console austriaco e contro l'ambigua e subdola condotta politica di Essai Pascià, capo dello stato albanese.
Queste difficoltà aumentarono notevolmente, in agosto, dopo la dichiarazione di guerra dell'Italia alla Turchia e, soprattutto, dopo i primi disastri dell'esercito serbo pressato a nord dalle truppe austro ungariche bulgare e tedesche. Gli Albanesi, infatti, che inizialmente avevano guardato con simpatia all'Italia, si schierarono poi dalla parte degli Austriaci, dei Tedeschi e dei Bulgari, convinti dell'ormai imminente successo militare di questi ultimi. L'afflusso, infine, nella città di Valona di numerosi prigionieri austriaci caduti nelle mani dell'esercito serbo e qui inviati al concentramento, rendeva esplosiva la situazione.
Per tali ragioni l'esiguo corpo d'occupazione italiano non era più sufficiente. Il compito assegnato all'Italia dal trattato di Londra, infatti, era articolato in più campi d'intervento: la difesa di Valona e del suo territorio, tutelare l'indipendenza dello stato albanese (costituito a tavolino dalla Triplice Intesa), sostenere Serbi e Montenegrini proteggendo, nello stesso tempo la costa e i porti. Per fronteggiare la situazione si rese quindi necessario l'invio di più ingenti truppe in territorio albanese.
Nel novembre del 1915, nonostante il parere contrario del generale Cadorna, fu costituito un "Corpo speciale italiano" destinato ad operare in Albania e dipendente esclusivamente dal Ministero della Guerra. Il comando delle truppe fu affidato al generale Emilio Bertotti.
Scriveva in quei concitati giorni lo stesso generale Bertotti:
"Si avvicinavano intanto i miseri resti dell'esercito serbo sconfitto. Precedevano i prigionieri austriaci. Di 50 mila, quanti erano partiti dalla Serbia, 20 mila circa erano periti nel terribile viaggio e le condizioni di deperimento di quegli sventurati avevano suscitato lo sdegno degli Albanesi ed anche delle missioni alleate per questo il generale inglese Taylor, capo di quella britannica, era dovuto intervenire per far cessare un trattamento contrario ai sentimenti d'umanità.
Impartiti gli ordini per il loro trasloco a Valona e concordato con la Marina il loro imbarco, giunsero in uno stato compassionevole; una gran parte malati di tifo e di colera, e molti di loro morirono durante il trasferimento; si dovettero prendere energiche misure igieniche e dare ordini severissimi per salvaguardare l'incolumità sanitaria delle truppe italiane e, con molti stenti, si riuscì a frenare alcuni impulsi di soldati generosi che dimenticando se stessi, avvicinavano gli infelici e i morenti lungo il percorso per dare a loro aiuto e conforto".
Quasi tutti i prigionieri austriaci furono avviati su Valona e fu solo per merito degli italiani se di questi ne furono salvati quasi ventitremila tra soldati e ufficiali.
Era il ►"Principe Umberto"◄ ed aveva imbarcato una parte del 55° Reggimento di fanteria nel quale erano arruolati molti trevigiani. In pochissimo tempo scomparvero nelle buie acque di fronte a Valona ben 1816 soldati (52 ufficiali e 1764 truppa) e 110 marinai.
Alto è il tributo di sangue che pagò il nostro comune. Furono sette le giovani vite perdute in questa tragedia. Le pur scarne informazioni, desunte dai fogli matricolari e, dove possibile, le foto, recuperate da un tributo fotografico che molti Comuni provvidero a stampare sul finire degli anni Venti, costituiscono quanto di loro ci rimane oltre la memoria.
Ettore Marangon
Giovanni De Marchi
Luigi Franchin
Marino De Marchi