La tragedia consumatasi alle porte di Valona, 1700 caduti, sembra passi inosservata e non si trova traccia evidente nei testi storici. Solo mesi di studio e approfondimento hanno permesso di ricostruire, ma solo in parte, e di riportare all'udito l'eco di quei giorni lontani. É durante la fase di riscontro che, in qualche modo, si è pure compreso il motivo di tanta omertà nella cronistoria. La ragione è contenuta nell'embrione di quello che oggi chiamiamo propaganda di guerra che passa tra celebrazione ed enfatizzazione degli eventi fausti e minimizzazione e ricorso agli eufemismi nel menzionare quelli infausti.
Proprio in merito alla guerra in Adriatico, risulta illuminante un passaggio tratto dall'opera "Storia Popolare della Grande Guerra" di Roberto Mandel, Capitano addetto al Comando Supremo del Regio Esercito ed edito nel 1933:
"...frattanto, i piroscafi continuavano a cadere - sventrati o crivellati - sotto al siluro ed al cannone degli affondatori. Il mare insanguinato, nel cui seno precipitavano le carene infrante, era diventato il teatro di tragedie senza mumero, scandite dal rombo delle artiglierie, concluse nel naufragio. Le navi attese invano all'approdo si facevano sempre più numerose.
Contro le 536 mila tonnellate complessive perdute dagli alleati nel febbraio, si ebbe un totale di 603 mila tonnellate per le distruzioni nel mese di marzo.
Qualora gli affondamenti fossero continuati con questo ritmo, nel maggio o nel giugno le perdite sarebbero giunte al milione di tonnellate mensile: cifra spaventosa che avrebbe voluto dire la resa per fame e per deficienza di materiali di tutti i belligeranti dell'Intesa (nel settore balcanico - n.d.a.).
Grazie al silenzio imposto dal patriottismo e dalla censura, i popoli non ebbero nemmeno una pallida intuizione della realtà tremenda."