Mattiello Gino - La Guerra all'orizzonte

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Autiere Gino Mattiello

Nato a San Trovaso di Preganziol il 20 luglio 1922, penultimo dei nove figli di

Primo e Carolina Zara.

Di professione elettricista.

Arruolato e inviato sul fronte russo con la Divisione Pasubio e assegnato al V° Battaglione Mortai da 81 come autiere conducente di SPA CL39.



UN AUTOCARRO LEGGERO  SPA CL39


ESERCITAZIONE CON UN MORTAIO DA 81

Subito prima dell'inizio della Seconda Battaglia difensiva del Don, a seguito delle offensive russe (Operazioni Saturno) che segnarono l'inizio della storica drammatica ritirata delle nostre truppe, Gino si trovava con il suo Battaglione nei pressi di Ogolev nell'ansa del Don denominata "Cappello Frigio".

Proprio il 6 dicembre del 1942 inviò al fratello del cognato una lettera dai toni rassicuranti e speranzosi.




CORRISPONDENZA DAL FRONTE RUSSO
ESTATE 1941

Ma dopo pochi giorni Gino, come migliaia di altri nostri soldati fu travolto dalla terribile controffensiva russa e dato per disperso.

A casa non seppero più nulla del loro congiunto.
Alcuni reduci che sopravvissero all'inferno russo raccontarono storie terribili di quanto, i nostri soldati catturati, subirono dai sovietici. L'atteggiamento di questi ultimi nei confronti dei prigionieri di guerra subito dopo la loro cattura, la disorganizzazione dell'esercito russo impreparato a gestire l'enorme numero di prigionieri e le altre gravi carenze logistiche sommate alle estreme condizioni climatiche di quel periodo, causarono la drammatica ecatombe dei nostri soldati. I prigionieri di guerra subirono le marce del "davai" (l'implacabile e incalzante ordine in russo "Avanti! Avanti!"), i trasporti ferroviari, gli orrori dei primi campi di smistamento.

I lager destinati ai prigionieri di guerra – che, secondo i dati disponibili, dal 1939 a inizio 1943 erano soltanto 24 – aumentano di numero, fino ad arrivare a 533 (più almeno altri nove lager speciali), distribuiti su tutto il territorio sovietico. I prigionieri italiani furono rinchiusi in circa 430 dei lager suddetti. Su 84 mila prigionieri italiani solamente 10 mila poterono far ritorno a casa dopo la fine del conflitto.

Tuttavia, gli stessi reduci raccontavano anche di gesti pietosi ricevuti dalla popolazione civile che, in qualche modo, tentava di lenire tanta sofferenza.
E aggrappati alla speranza che, come in effetti successe per qualcuno, Gino fosse riuscito a scampare alla tragedia e magari accolto da una famiglia generosa, impossibilitato a rientrare in patria, fosse ancora in vita da qualche parte nella lontana e gelida Russia, i suoi genitori, Primo e Carolina, continuarono fino alla loro morte a crederlo vivo e felice.
In realtà per gran parte dei dispersi non si seppe più nulla fino agli inizi degli anni Novanta quando, le mutate condizioni politiche, consentirono nuovi scambi diplomatici e l'apertura degli archivi russi.
Fu così che, come per molti altri, si riuscì a riscrivere la loro storia. Una storia drammaticamente lontana dalle speranze dei familiari che si spensero ingoiate dalle stesse fosse comuni dove migliaia dei nostri soldati furono frettolosamente sepolti.
Infine, il 4 febbraio 1995 giunse a Renata, sorella minore di Gino, la comunicazione del Ministero della Difesa che comunicava ufficialmente la data del decesso del fratello avvenuta il 31 marzo 1943 nel campo 56 di Uciostoje.
La poca e scarna documentazione era quanto rimaneva di un ragazzo poco più che ventenne travolto da quei terribili eventi bellici.
A lui, come a tutti gli altri come lui, caduti in tutti i conflitti vogliamo dedicare questo lavoro affinché la loro memoria non vada perduta. Mai.
Ciao Zio!

Desideriamo ringraziare l' U.N.I.R.R. - Unione Nazionale Italiana Reduci di Russia
nella persona della Signora Patrizia Marchesini del Forum UNIRR

Presente nel Registro del Ministero della Difesa dei Caduti e Dispersi della 2ª Guerra Mondiale
Presente nel Registro del Commissariato Generale per le Onoranze ai Caduti in Guerra



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