Vanin Sante 1893 - Quintini

I R E D U C I
QUINTO DI TREVISO
QUINTO DI TREVISO - 1915 / 1918
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Vanin Sante

Nato a Quinto di Treviso il 12 agosto 1893 .
Figlio di Francesco e Scattolin Anna
Contadino.
Allo scoppio del conflitto era già in forza al 13° Reggimento Cavalleggeri (Monferrato) fin dal 22 settembre 1913.

Inviato in territorio dichiarato in stato di guerra il 23 maggio 1915.
Prigioniero di guerra nel fatto d'armi di Pasian Schiavonesco il 29 ottobre 1917.
Rimpatriato e inviato al campo di concentramento nei pressi di Modena il 19 dicembre 1918.
Rientrato al Deposito del 13° Reggimento Cavalleggeri (Monferrato) il 25 gennaio 1919.
Trasferito al 4° Reggimento Cavalleggeri (Genova) il 25 marzo 1919.

Trasferito al 23° Reggimento Cavalleggeri (Umberto 1°) il 18 maggio 1919.

Inviato in congedo illimitato il 5 settembre dello stesso anno.
Subito dopo la fine della Grande Guerra, 861 ex-prigionieri italiani morirono in Emilia Romagna in campi di concentramento […]. La causa dei loro decessi va fatta principalmente risalire alla grave epidemia influenzale che imperversò in quelle settimane con estrema virulenza, la cui diffusione fu certamente favorita dalle condizioni di promiscuità nelle quali vennero a trovarsi migliaia di uomini indeboliti, malnutriti, scarsamente assistiti e concentrati in luoghi freddi […]. Gli 861 militari deceduti facevano parte dei circa 270.000 ex-prigionieri di guerra italiani rientrati in patria dopo l’armistizio […]. In Emilia Romagna gli ex-prigionieri furono internati in tre grandi campi di concentramento, il cui comando principale si trovava a Mirandola (Modena), Castelfranco Emilia (allora sotto la giurisdizione di Bologna) e Gossolengo (Piacenza) […]”.
Per diverse settimane i militari vissero in pessime condizioni, e soltanto a seguito delle denunce della stampa, delle pressioni di alcune personalità politiche e delle ripetute lamentele delle autorità locali, la loro sorte venne lentamente migliorando […]. Dopo anni di privazioni subite in guerra e in prigionia, i soldati e gli ufficiali che erano stati catturati andavano interrogati, al fine di accertare le cause della loro cattura e di sottoporli agli eventuali procedimenti penali. Questa necessità divenne prioritaria rispetto all’urgenza di curarli, sfamarli e rivestirli dopo anni di privazioni patite in guerra e nei campi di concentramento austro-tedeschi”.

Tratto dal libro: “1918 prigionieri Italiani in Emilia” di Fabio Montella, edizioni Il Fiorino - 2008
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