Coloschi Valentino 1897 - Quintini

I R E D U C I
QUINTO DI TREVISO
QUINTO DI TREVISO - 1915 / 1918
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Coloschi Valentino

Nato a Quinto di Treviso il 19 agosto 1897.
Figlio di Giuseppe e Favarato Teresa.
Mugnaio.
Chiamato alle armi il 26 settembre 1916.
Assegnato al 1° Reggimento Fanteria (Brigata Re) e inviato in territorio dichiarato in stato di guerra il 2 ottobre 1916.

Trasferito alle truppe mobilitate in zona di guerra nel 164° Reggimento Fanteria (Brigata Lucca) il 4 giugno 1917.

Trasferito nel 47° Reggimento Fanteria (Brigata Ferrara) il 19 settembre 1917.

Trasferito al 6° Reggimento Fanteria (Brigata Aosta) il 15 marzo 1918.

Trasferito all' 86° Reggimento Fanteria (Brigata Verona) il 10 dicembre 1918.

Cessò di trovarsi in territorio dichiarato in stato di guerra il 1° gennaio 1919.
Assegnato alla 291a Compagnia Prigionieri Lavoratori il 4 novembre 1919.
Trasferito presso il Comando del presidio di Montebelluna il 7 aprile 1920.
Inviato in congedo il 10 maggio 1920.
"Dalla metà del 1916 l’esercito iniziò ad utilizzare i prigionieri per lavori di carattere agricolo: dapprima rimboschimento e taglio legname, poi varie altre attività. Tale impiego dei prigionieri suscitò proteste e interrogazioni in parlamento; si temeva che i prigionieri potessero sottrarre lavoro a contadini e operai italiani o addirittura che fossero utilizzati come crumiri durante gli scioperi. Tuttavia, nonostante le proteste, la possibilità di avere mano d’opera a basso costo, fece sì che nell’estate del 1918 l’amministrazione militare non riuscisse più a soddisfare le richieste di centurie di prigionieri lavoratori che venivano impiegati nelle più svariate attività come bonifiche, costruzione di strade, centrali elettriche, industrie e ferrovie.
La sorveglianza dei prigionieri era affidata a truppe territoriali, soldati per la maggior parte delle classi più anziane, o ai carabinieri. Spesso si verificarono fughe che però, data la distanza dai confini di Stato, raramente ebbero esiti positivi. Per rendere più difficile le evasioni era proibito ai prigionieri possedere denaro in valuta corrente e i valori venivano cambiati in buoni che funzionavano come moneta accettata solo nei campi."
Tratto da: LODOVICO TAVERNINI -  PRIGIONIERI AUSTRO-UNGARICI NEI CAMPI DI CONCENTRAMENTO ITALIANI 1915-1920
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