La Brigata Marche, composta dal 55° e 56° Reggimento di fanteria, ebbe, come moltissimi altri reparti del Regio Esercito, un ruolo significativo durante la Prima Guerra Mondiale.
Dall'inizio del conflitto fino al 12 ottobre fu impiegata sul fronte dolomitico, tra il Cadore, il settore di Lavaredo e il Monte Popena. Successivamente fu spostata sul fronte carsico nel settore attorno al Monte Sabotino dove rimase fin quasi la fine del 1915. Dal 15 di dicembre, e per tutto il mese di gennaio del 1916, fu inviata a riposo a Meretto di Tomba, in provincia di Udine per riordinarsi.
Agli inizi di febbraio fu trasferita sul fronte albanese per gestire i prigionieri dell'esercito austro-ungarico, contribuire alla riorganizzazione dell'esercito serbo e costruire trincee e opere di difesa. Fu un periodo relativamente tranquillo contrassegnato da episodi bellici sporadici e di portata ridotta. Ma all'inizio della primavera, per contrastare la grande offensiva austriaca sugli altipiani (impropriamente denominata "Strafexpedition") il Generale Cadorna, il 29 aprile 1916, ordinò il rimpatrio della brigata per contribuire alla costituzione di un Corpo d’Armata di Riserva da schierare nella pianura vicentina.
Il rientro della Brigata Marche dall'Albania fu un’operazione complessa e ben organizzata. Dopo la partenza del 56° Fanteria, nei primi giorni di giugno 1916 furono fatti i preparativi per il rientro del 55°.
Nella notte tra il 7 e l’8 giugno, il reggimento si radunò sulla spiaggia di Valona per l’imbarco che iniziò alle 8 del mattino.
Sul Piroscafo "Principe Umberto" trovarono posto il Comando del Reggimento al completo, il I° ed il II° Battaglione oltre all' 11a e alla 12a Compagnia del III° Battaglione. Su un altro piroscafo, il "Ravenna", oltre al carreggio e le salmerie, furono imbarcate le restanti Compagnie del III° Battaglione, la 9a e la 10a, nonché i rimanenti Ufficiali del Battaglione.
Il convoglio, diretto a Taranto, era composto da nove unità, inclusi cacciatorpediniere e navi esploratrici per la scorta. ►[IL CONVOGLIO NAVALE]◄
Le navi salparono alle diciannove dell’8 giugno 1916; il tragitto verso la costa italiana era pericoloso a causa delle mine nemiche e dei sommergibili, e il convoglio procedeva con cautela, seguendo misure di sicurezza per evitare le insidie.
La navigazione stava procedendo tranquillamente quando il Piroscafo "Principe Umberto" a una quindicina di miglia a Sud-Ovest di Punta Linguetta, fu squassato da una forte esplosione. Il panico si diffuse tra i membri dell’equipaggio e i fanti della Brigata Marche imbarcati sul piroscafo.
La nave era stata colpita, al centro, da un siluro lanciato da un sommergibile austriaco che stava pattugliando quel braccio di mare davanti alla costa Albanese. ►[CLICCA PER VEDERE LA MAPPA]◄
Poco dopo esplosero le caldaie del piroscafo che si spaccò in due e si inabissò in pochi minuti trascinando con sé le vite di 52 Ufficiali e di 1.764 fanti del 55° oltre a quelle di 110 marinai dell’equipaggio [I dati numerici sono stati desunti da fonti on line].
Per alcuni giorni emersero dal mare sulla spiagge della costa albanese, lungo la penisola di Karaburun e fino a Valona decine di corpi straziati ed irriconoscibili che furono sepolti senza nome tra gli ulivi ai bordi della strada che da Valona sale verso Kanina. Quel luogo fu ben presto chiamato "il cimitero del 55° Reggimento". Gli 895 superstiti dell’immane tragedia, compresi i numerosi feriti, furono imbarcati sul Piroscafo "Vittorio Emanuele" e sbarcarono a Taranto il 12 giugno.
I comandi militari, consapevoli che la notizia dell'immane tragedia avrebbe potuto alimentare, tra l'opinione pubblica, un già latente pessimismo e disfattismo, decise di censurare ogni informazione impedendo ai superstiti di rientrare temporaneamente a casa per salutare i propri cari evitando, così, il diffondersi della notizia.
La ragione di tale atteggiamento è contenuta nell'embrione di quello che oggi chiamiamo propaganda di guerra che passa tra celebrazione ed enfatizzazione degli eventi fausti e minimizzazione e ricorso agli eufemismi nel menzionare quelli infausti.
Proprio in merito alla guerra in Adriatico, risulta illuminante un passaggio tratto dall'opera "Storia Popolare della Grande Guerra" di Roberto Mandel, Capitano addetto al Comando Supremo del Regio Esercito ed edito nel 1933:
"...frattanto, i piroscafi continuavano a cadere - sventrati o crivellati - sotto al siluro ed al cannone degli affondatori. Il mare insanguinato, nel cui seno precipitavano le carene infrante, era diventato il teatro di tragedie senza numero, scandite dal rombo delle artiglierie, concluse nel naufragio. Le navi attese invano all'approdo si facevano sempre più numerose.
Contro le 536 mila tonnellate complessive perdute dagli alleati nel febbraio, si ebbe un totale di 603 mila tonnellate per le distruzioni nel mese di marzo.
Qualora gli affondamenti fossero continuati con questo ritmo, nel maggio o nel giugno le perdite sarebbero giunte al milione di tonnellate mensile: cifra spaventosa che avrebbe voluto dire la resa per fame e per deficienza di materiali di tutti i belligeranti dell'Intesa (nel settore balcanico - n.d.a.).
Grazie al silenzio imposto dal patriottismo e dalla censura, i popoli non ebbero nemmeno una pallida intuizione della realtà tremenda."
Nel dopoguerra i resti di quanti erano stati sepolti nel cimitero nei pressi di Valona furono traslati nel Sacrario Caduti d’Oltremare di Bari.
Nel giugno del 2022, 106 anni dopo l'affondamento, l’ingegnere italo-svizzero Guido Gay è riuscito a localizzare a mille metri di profondità il relitto del piroscafo inabissatosi in quel tratto di mare a circa 15 miglia a Sud-Ovest di Capo Linguetta.
In quella che è la più grave tragedia navale militare italiana, tra le quasi duemila vittime, trovarono la morte ben 521 soldati della Provincia di Treviso risultando, così, la provincia più colpita. Quasi ogni comune e frazione pianse la perdita di giovani vite:
Questa pagina è nata per commemorare le vittime della Provincia di Treviso. Ma non possiamo e non vogliamo dimenticare tutti gli altri ragazzi, 1.405 fanti e marinai, che persero la vita in quella tragica notte.
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